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L’entanglement quantistico: dal microscopico al macroscopico

4 Settembre 2011, ore 17:48

Mi è capitato di leggere su Le Scienze di agosto di quest’anno un articolo molto interessante. Scritto da Vlatko Vedral, l’articolo spiegava in maniera abbastanza semplice il possibile collegamento tra il microscopico, legato alle leggi quantistiche, e il macroscopico, legato alla fisica classica.

Il problema principale è il seguente: sebbene collegabili tra loro, la fisica classica fino a quale punto è un’approssimazione di quella quantistica? Può essere vero che le leggi quantistiche si applichino solo al mondo microscopico delle particelle oppure c’è anche altro?

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Poter affermare che la meccanica classica possa essere soltanto un’estensione o un modo diverso di vedere la meccanica quantistica è qualcosa che può apparire molto controintuitivo. Siamo abituati a pensare e a osservare in maniera classica: io sono qui e posso definire la velocità del mio centro di massa (in questo momento nulla!); invece, è difficile pensare che il mio corpo abbia una posizione e una velocità non proprio precisa.

In realtà la questione andrebbe analizzata con un punto di vista non proprio comune e, come ogni teoria, fisica deve essere spiegata e dimostrata attraverso gli esperimenti.

Pensiamo al famoso gatto di Schrodinger: la sua vita (entità macroscopica) all’interno della scatola è legata alla possibilità che la fialetta rilasci il cianuro, evento a sua volta legato alla probabilità che un determinato atomo (entità microscopica) decada (uguale alla probabilità che non decada). Ergo il gatto ha la stessa probabilità di essere vivo e morto. Allo stesso tempo la dimensione spaziale non sembra contare molto.

Come possiamo spiegare ciò? In fin dei conti, aprendo la scatola (o esaminando un qualsiasi fenomeno naturale) percepiamo qualcosa di definito! In realtà viene trasmessa tutta l’informazione possibile (ovvero tutti gli stati possibili) ma riusciamo a percepire soltanto le informazioni così come descritte dalla fisica classica. In sostanza vi è una perdita di informazioni nel processo di trasmissione delle stesse, la quale avviene attraverso i fotoni e lo scambio di calore: questo fenomeno è noto come decoerenza quantistica.

La cosa più sorprendente, come si legge nell’articolo, è legata all’entanglement: nella meccanica classica, volendo separare un elemento da un insieme di elementi (per esempio se togliessimo, non so come, un pianeta dal sistema solare e lo mandassimo in un altro), questi ultimi continueranno a interagire come se quell’elemento non ci fosse più; invece, nella meccanica quantistica ciò non è possibile, in quanto anche separato a distanze inimmaginabili un singolo elettrone sarebbe legato al sistema di partenza. Una maniera un po’ hippy di spiegare il fenomeno è che siamo un po’ una grande famiglia in cui tutti dipendono da tutto, anche quando estremamente lontani (pensa che fortuna!).
A questo punto vogliamo capire quali sono gli esperimenti che colleghino il microscopico al macroscopico. La cosa più facile da fare è prendere poche particelle e magari in futuro si troverà un modo per estendere a sistemi con un numero incredibile di elementi (come il nostro corpo umano). Il tutto sta nel capire se in questi esperimenti la perdita di informazione possa risultare ferma o anche frenata.

Un’esperimento, per esempio, è misurare la velocità con cui si allineano gli atomi in un cristallo di sale portato a temperature estremamente basse quando si applica un campo magnetico. Sorprendentemente l’allineamento è molto più veloce di quello previsto dalla fisica classica, in pieno accordo con la teoria quantistica. Il fatto che le particelle studiate fossero “isolate” ha permesso di ridurre la perdita di informazione e probabilmente quel gap che ha permesso di velocizzare l’allineamento magnetico è dovuto proprio all’entanglement.

Tutto ciò è stato effettuato a temperature prossime allo zero kelvin. Tuttavia sono stati effettuati esperimenti a temperature più elevate (come 294, 630 e 1000 K) mostrando che i solidi possono essere “entangled” anche in questi casi. A questo punto ci si chiede se anche la vita fosse legata a questo fenomeno.

Il fatto che gli uccelli sappiano sempre in che direzione migrare è legato a un fenomeno quantistico. Sorprendente? La fisica classica non riesce a spiegare tutto ciò, invece quella quantistica sì: nell’occhio dell’uccello c’è una molecola in cui due elettroni formano una coppia entangled precisa. L’interazione di questa coppia con la luce solare e il campo magnetico terrestre prosegue con l’invio di un input neurologico al cervello dell’uccello, il quale a questo punto percepisce il campo magnetico terrestre (dome Devil con le onde sonore) e sa come orientarsi. Pare che anche la fotosintesi risponda meglio a spiegazioni quantistiche rispetto a quelle classiche.

La questione è delicata e decisamente appassionante. Se la meccanica quantistica diventasse fondamentale a tutte le scale allora il tempo e lo spazio diventerebbero concetti estremamente secondari (appunto perché secondari nella teoria quantistica; per alcune teorie addirittura il tempo pare non sia altro che un modo di percepire le diverse configurazioni in cui l’universo si dispone, seguendo dei principi entropici e quantistici).

Il tutto (forse) potrebbe essere un utile spunto per poter collegare la teoria quantistica e della relatività, le quali purtroppo non vanno d’accordo: l’ultima, infatti, presuppone che posizione e velocità degli oggetti siano ben definiti nel tempo, cosa nettamente in contrasto con la prima teoria.

Ma se l’accordo ci fosse allora dovremmo iniziare a pensare a un mondo fisico privo di spazio e di tempo. Quando questo avverrà capiremo che la visione del mondo che abbiamo è decisamente la più grande illusione della storia.