Scoppia il caso Parti Cesarei, il 43 % nel 2010 è stato ingiustificato, e il problema è attuale: si indaga a livello regionale
Scoppia il caso “Parti Cesarei”, in seguito alle ultime rilevazioni del Ministero della Salute, secondo cui sarebbero numerosissimi in Italia i parti cesarei non giustificati, cioè quelli per cui non sussistono in realtà le necessità reali e previste dalla legge di effettuare taglio cesareo. Facendo qualche numero, sulla base delle analisi del Ministero stesso, è emerso che nel corso del 2010, in tutta Italia, i parti cesarei sono stati il 29,31% del totale ( 482.195), ma di questi il 43% risulta ingiustificato dal momento che si rileva una non corrispondenza con le informazioni nelle schede di dimissione ospedaliera. In altri termini, si rilevano “troppe diagnosi di posizione anomala del feto, condizione fortemente associata al taglio cesareo”. Molti parti cesarei, così, ufficialmente sono stati eseguiti perché il feto era podalico, ma nella cartella clinica delle donne non c’è traccia del problema.
Il punto di partenza è stato quello dei dati molto diversi tra una realtà locale e l’altra proprio per quanto riguardo l’incidenza della “posizione anomala del feto”, condizione associata all’intervento chirurgico in maternità. Ebbene, la frequenza media nazionale di questo problema è dell’7%, ma ci sono regioni come la Campania che arrivano al 21% (la Sicilia al 10%) e singole strutture in cui si tocca addirittura il 50%. “Questi valori sono incompatibili con la distribuzione di questa condizione al parto nella popolazione e quindi hanno fatto sorgere il sospetto di un utilizzo improprio e non giustificato di questa codifica, non basata su reali condizioni cliniche” (le parole del Ministero)
La ricerca è stata sviluppata sulla base di un controllo a campione, realizzato su circa 1000 cartelle cliniche, raccolte dai Nas nelle sale parto di tutte le Regioni d’Italia. “Il rischio di non corrispondenza nelle informazioni tra scheda di dimissione e cartella clinica è un problema importante su tutto il territorio nazionale”, rilevano al ministero della Salute. Anche là dove non c’è un’alta incidenza di cesarei ci sono comunque problemi di chiarezza dei documenti ospedalieri. Cartelle e schede di dimissioni risultano non coerenti tra loro nel 44% dei casi in Lombardia e nel Lazio, nel 78% in Sicilia, nel 56% in Puglia e nel 46% in Calabria. Vanno benissimo invece Veneto e Liguria, dove non c’è alcuna differenza tra i due documenti, nonché Val d’Aosta e provincia autonoma di Trento. Dunque un caso diffuso ma che non si presenta in maniera significativa in tutte le regioni. Le indagini proseguiranno.