Un’importante scoperta riguardante l’Etna è stata realizzata dagli esperti dell’Osservatorio etneo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv-Oe), in collaborazione con le Università di Catania e Ferrara.
Lo studio di un gruppo di ricercatori ha determinato che l’attività eruttiva all’Etna può manifestarsi anche senza l’arrivo di magma dal profondo, ma soltanto per effetto del continuo flusso di gas che surriscalda le rocce della parte apicale dell’edificio vulcanico. La ricerca apre la strada a una revisione dei modelli interpretativi dell’attività del vulcano siciliano e di quelli basaltici in generale. Secondo lo studio “i gas sono capaci di alterare la stabilità dei coni eruttivi, indipendentemente dalla risalita di magma, con tutte le possibili ricadute per l’analisi della pericolosità vulcanica”. Per i ricercatori “i gas possono, rilasciando calore, innescare processi come l’eruzione o frane di materiale lavico ricco in gas e, quindi, valanghe ardenti, ben più pericolose delle comuni colate di lava“. Dunque, un’importante rivalutazione del ruolo dei gas che, oltre a rappresentare un fattore primario nella dinamica eruttiva, vengono proposti come vero e proprio motore termico.
“In questo lavoro, l’attività eruttiva dell’Etna – ha spiegato Mario Mattia, ricercatore dell’INGV-OE – è stata analizzata partendo dallo studio dell’eruzione del 28 dicembre 2014, che aveva provocato un collasso di parte del Cratere di Sud-Est e un successivo richiamo di magma per effetto della conseguente decompressione. Da qui l’analogia del vulcano siciliano con quelli esplosivi, caratterizzati da duomi lavici semi-solidi che, collassando, causano violente esplosioni”.
Per giungere a queste conclusioni, differenti dalle precedenti interpretazioni avanzate dalla comunità scientifica che presupponevano l’intrusione di un corpo lavico a livelli superficiali (dicco), sono stati utilizzati i dati di deformazione del suolo ottenuti per mezzo della rete di ricevitori GPS dell’INGV-OE ad altissima precisione che permettono di rilevare anche i più piccoli rigonfiamenti dell’edificio vulcanico, legati all’arrivo di fluidi (inflation), e gli sgonfiamenti che seguono l’emissione di magma e gas (deflation), i dati di flusso dell’anidride solforosa (SO2), rilevati grazie alla rete permanente installata all’Etna, denominata FLAME e costituita da dieci spettrometri a ultravioletti che evidenziano la quantità di gas che passa attraverso i crateri sommitali e, infine, quelli relativi alla composizione chimica delle lave eruttate e le osservazioni vulcanologiche fatte sul terreno (cima del Cratere di Sudest), nei mesi precedenti l’evento eruttivo.