Nel corso degli ultimi giorni stiamo leggendo da varie fonti la notizia del previsto cedimento di un fianco dell’Etna, che starebbe scivolando pericolosamente verso il mare.
Una notizia che nelle ultime ore è rimbalzata molto in rete in concomitanza con la sequenza sismica che si sta verificando nei pressi del vulcano, alimentando una certa apprensione fra la popolazione locale. Alcuni siti hanno diffuso con toni piuttosto allarmistici la comunicazione di un possibile tsunami generato da questo evento, disegnando in alcuni casi una vera e propria catastrofe imminente.
Bisogna dire che la notizia del cedimento del fianco dell’Etna e del suo “scivolamento” verso il mare è reale e fa riferimento esattamente a uno studio pubblicato da Science Advances, realizzato in parte anche da ricercatori italiani dell’Ingv di Catania. Tuttavia va chiarito qualche aspetto. Innanzitutto si tratta di uno studio che riprende una scoperta fatta già parecchi anni fa: che i fianchi (est e sud-est) del vulcano stiano migrando verso il mare infatti già si sapeva, ma ora si conoscono meglio le cause di questo fenomeno. L’elemento in più, in questo nuovo studio (reperibile qui), è che il cedimento avviene anche sotto il mare e più velocemente di quello che si credeva prima, non solo per cause quali eruzioni e movimenti tellurici ma anche per la forza di gravità.
Tale fenomeno è naturalmente monitorato da esperti e geologi e non rappresenta una minaccia imminente. Si tratta infatti di un processo comunque lento (le pendici sud-orientali dell’Etna stanno scivolando nel mar Ionio a un ritmo di 2-3 centimetri all’anno) e soprattutto che non è detto porti ad eventi catastrofici con conseguenze per l’uomo.
Un evento catastrofico – che sarebbe legato ad un collasso repentino di ampie porzioni di fianco – non si può escludere, ma rimane uno scenario poco probabile, come affermato dallo stesso geologo dell’INGV (istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) Boris Behncke.
Nel passato vi sono stati eventi del genere, anche in Italia, come ricorda la geologa Sabrina Mugnos su Facebook. Uno riguarda proprio l’Etna, dove circa 8000 anni fa vi fu un grande crollo la cui cicatrice è ora la Valle del Bove. E non lontano, a Stromboli, è visibile la medesima testimonianza scolpita nella sua Sciara del Fuoco, lascito di un collasso avvenuto circa 5000 anni fa.
Spostandoci fuori dal nostro paese, invece, abbiamo esempi passati (e ipoteche sul futuro) alle isole Hawaii (il fianco sud del Kilauea sta “scivolando” verso l’oceano) e alle Canarie, dove nell’isola di La Palma il fianco occidentale del vulcano Cumbre Vieja preoccupa non poco.
Il collasso degli edifici vulcanici fa parte certamente del loro processo evolutivo, ma la maggior parte di essi riesce a contrastare le sollecitazioni della gravità con assestamenti graduali che si consumano in tempi lunghissimi di migliaia e più di anni (chiamati tempi geologici), senza necessariamente originare catastrofi.
Nel caso dell’Etna, come per altri, non si può dire se e quando avverrà un evento del genere. Si tratta di fenomeni comunque complessi: possiamo studiarli (e l’Ingv lo fa) per adoperare gli opportuni accorgimenti e adeguarci al decorso della natura, perchè di certo non è quest’ultimo che si adeguerà a noi.
In conclusione, ricordiamo che quando si parla di notizie del genere, è sempre meglio affidarsi a fonti attendibili (e imparare a scegliere e verificare le stesse) che riportano le notizie per quello che sono realmente senza “lanciare” titoli che fanno intendere catastrofici scenari imminenti. Spesso ci si ferma proprio al titolo di un articolo e si traggono conclusioni affrettate. L’ideale è approfondire l’origine dell’articolo, che generalmente, come in questo caso, è una pubblicazione scientifica (italiana o straniera).