Il 24 agosto 2016, alle ore 03.36 l’Italia tremò con violenza in lungo e in largo, tanto da svegliare milioni di persone. Sull’Appennino centrale il tempo si fermò: Amatrice fu l’epicentro del terremoto che oggi andremo a ricordare e che purtroppo ha segnato la vita di numerosi borghi magnifici e storici del Lazio, dell’Umbria, delle Marche e dell’Abruzzo.
Quel terremoto fu davvero violento: raggiunse la magnitudo 6.0 sulla scala richter mentre l’ipocentro fu localizzato ad appena 8 km di profondità. L’epicentro tra Amatrice e Accumoli, due piccoli e ridenti borghi del reatino, sull’Appennino laziale, a pochi chilometri dall’Umbria, dalle Marche e dall’Abruzzo.
Fu un disastro: 299 persone persero la vita, tante case e tanti simboli storici crollarono al suolo. Ancora adesso, a distanza di tre anni, non possiamo che ricordare quegli attimi di panico e apprensione che noi stessi vivevamo dietro un monitor intenti ad aggiornare decine di migliaia di persone che attendevano notizie sull’accaduto. Già pochi minuti dopo il sisma iniziavano ad arrivare in redazione le prime terribili immagini dei crolli, segno che la situazione poteva essere molto più grave del previsto. Al mattino la situazione iniziava a degenerare: Amatrice risultava quasi rasa al suolo assieme ad altri piccoli centri abitati nelle vicinanze (Accumoli, Arquata del Tronto e Pescara del Tronto).
Ora, a distanza di 3 anni, è cambiato troppo poco: oltre cinquantamila persone sono ancora senza casa nonostante ai vertici si siano susseguiti tre governi e tante promesse. Dei 46 miliardi di euro previsti per la ricostruzione, solo il 4% sono stati realmente utilizzati. A sostenerlo è il sindaco di Amatrice, Pirozzi.
Per le strade di quei borghi sono apparsi dei striscioni di protesta: “Il tempo passa, la ricostruzione è ferma e il paese muore”, si legge su uno di questi. Su altro invece troviamo: “2016-2019 terremotati dimenticati”.