Analfabetismo funzionale e difficoltà nel problem solving: un freno per l’Italia
Oltre un terzo degli adulti italiani si trova in una condizione di analfabetismo funzionale, mentre quasi la metà riscontra significative difficoltà nel problem solving. Secondo la Survey of Adult Skills, indagine sulle competenze degli adulti condotta nell’ambito del programma Ocse, l’Italia continua a occupare posizioni di coda, con punteggi che si attestano tra i 15 e i 20 punti sotto la media Ocse per capacità di lettura, comprensione di testi scritti, interpretazione di dati numerici e risoluzione di problemi complessi.
Nonostante un decennio di monitoraggio, la situazione appare stagnante. L’Italia rimane quartultima nella classifica internazionale, preceduta da paesi come Lituania e Portogallo, e dista decine di punti dalle eccellenze rappresentate da Finlandia, Giappone e Svezia.
Divari territoriali e generazionali
Le disparità emergono anche su base geografica. Al Sud, le competenze cognitive sono drammaticamente inferiori rispetto alla media nazionale, mentre il Nord-Est è l’unica area a raggiungere punteggi comparabili con quelli della media Ocse, specialmente nella comprensione e nell’uso dei numeri. Inoltre, si osserva un marcato divario generazionale: i giovani di 16-24 anni mostrano competenze superiori rispetto ai 55-65enni, a conferma di un significativo deterioramento delle abilità con l’avanzare dell’età.
Anche il genere rivela disparità: le donne rimangono indietro rispetto agli uomini nelle competenze numeriche, pur mantenendo un livello comparabile in literacy e problem solving adattivo.
L’analfabetismo funzionale e il suo impatto sociale
Secondo l’indagine, il 35% degli adulti italiani ha competenze pari o inferiori al livello 1 in literacy, contro una media Ocse del 26%. Questo significa che, pur sapendo leggere e scrivere, molte persone faticano a comprendere e utilizzare le informazioni in modo efficace. Analogamente, il 35% degli adulti è limitato nei compiti matematici più basilari.
Questo dato non è solo un problema individuale, ma ha ricadute sociali profonde, alimentando fenomeni come la diffusione di teorie negazioniste, complotti e disinformazione scientifica, specialmente attraverso i social media. La difficoltà di valutare criticamente fonti e contenuti rende molte persone vulnerabili a informazioni errate, contribuendo alla polarizzazione e all’erosione della fiducia nella scienza e nelle istituzioni. L’analfabetismo funzionale diventa così un terreno fertile per la disinformazione, in quanto limita la capacità di analizzare fatti complessi o individuare incoerenze in narrazioni ingannevoli.
Un segnale positivo e la necessità di investimenti
Un aspetto incoraggiante è rappresentato dai giovani, che, nella fascia 16-24 anni, ottengono punteggi competitivi anche rispetto ai coetanei di altri paesi. Tuttavia, questa potenziale forza trainante rischia di essere vanificata senza un forte investimento nell’istruzione, particolarmente nelle regioni più arretrate.
L’Italia registra un livello di istruzione terziaria tra i più bassi dell’area Ocse, con solo il 20% della popolazione adulta in possesso di una laurea e un preoccupante 38% che non ha superato la scuola secondaria inferiore. È evidente la necessità di politiche mirate per incentivare la formazione continua, che rappresenta uno strumento fondamentale non solo per migliorare le competenze, ma anche per contrastare il dilagare di ignoranza e disinformazione.
Conclusioni
L’analfabetismo funzionale non è solo un indicatore delle carenze educative del paese, ma un sintomo di disuguaglianze territoriali, generazionali, che frenano lo sviluppo sociale ed economico. Senza un’azione decisa per migliorare le competenze cognitive e promuovere una cultura della conoscenza, l’Italia rischia di rimanere intrappolata in un circolo vizioso di arretratezza e vulnerabilità alla disinformazione, in un’epoca in cui saper distinguere il vero dal falso è più cruciale che mai.
Un esempio lampante riguarda la disinformazione sui cambiamenti climatici. La diffusione di teorie complottiste, come l’idea che il riscaldamento globale sia una frode o un’invenzione di élite interessate a controllare la popolazione, trova terreno fertile in chi manca delle competenze per analizzare i dati scientifici e comprendere fenomeni complessi. Questa dinamica amplifica il negazionismo climatico e rallenta l’adozione di politiche necessarie per affrontare l’emergenza ambientale. Contrastare l’analfabetismo funzionale significa, quindi, anche proteggere la società dalla crescente ondata di false narrazioni che minano la fiducia nella scienza e ostacolano il progresso globale.